giovedì 27 ottobre 2011

Il Vento del Nord - Frammenti

de Il Vostro

frammento improprio, #47

[…] e scenderemo, quindi: un flusso pacato e gentile come d'acque rinfrescanti, un trillìo di rocce, e silenziosamente festoso: ma implacabile. Scenderemo solcando il mare gelido sulla cui superficie quieta brillano alla luce bassa del tramonto i frammenti d'ambra; attraverseremo le morbide piane erbose e le strane catene di colline ferrose dalla schiena bassa e’aggobbìta; e affronteremo le Alpi: e non seccheranno le nostre pelli diafane le tormente e il gelo, e non temeremo i frontoni pericolanti di neve in alto, né periglio ci turberà - verseremo aceto sulle rocce arroventate con fuochi di legna ad altissimo potere calorico per sbriciolarle, e aprirci così percorsi sicuri: non che ne avremo bisogno, certo: ma attraverso ragionate aperture tra valli parallele il vento seguirà poi la nostra strada, e pulirà l'aria e sgombrerà i cieli e riequilibrerà i climi malsani e umidi che vi funestano, ammorbandovi il sangue e appesantendovi i polmoni.

E tutto questo sarà solo, per noi, scampagnata, e piacere di gita.

Dacché per anni - per secoli già avremo teorizzato, speculato, valutato il Giusto, e argomentato e messo su carta con dovizia di glossa e nota; e anche avremo inciso a fuoco nel nostro Sentire: ché carta deperisce: Altro, no. Al momento del nostro arrivo già avremo preso il meglio dei vostri pensatori e dei vostri teorici e dei vostri teorèti - il meglio di millenni - e li avremo ripuliti dalle incrostazioni della malfidenza e della partigianità e del dolo e così - cristallini nella loro essenza - li avremo combinati in una smörgåscake perfetta: nella quale c'è Tutto, ma il Tutto è compatto e indivisibile e Uno: e un solo morso risuona della peculiarità irrinunciabile d'ogni elemento: in armonia precisa.

Come in una smörgåscake, appunto.



E una volta arrivati ci mischieremo a voi, e Diffonderemo.

Vi insegneremo ad accogliere: solo ve lo insegneremo, però: senza inculcare: e per accogliere - sappiatelo – per accogliere servirà sviluppare coscienza sociale ed etica civile; e serviranno tubi di ferro a sezione tonda di diametro non largo, ma dalle parete spesse: con i quali ridurre a ragione quello che coscienza sociale ed etica civile non vuole sviluppare.

E quando ci saremo mischiati infine a voi, e vi avremo insegnato e voi avrete accolto e ci sarà germinazione: ce ne andremo: lasciandovi ora in fine cresciuti e indipendenti e degni […]

frammento improprio, #48

[…] di tenere stretto e caro la fiamma della coscienza sociale e dell'etica civile, e a portata piccole armi semiautomatiche in ceramica da tenere in leggere fondine sotto le ascelle: ché recidivi sempre possono […]

martedì 25 ottobre 2011

Collezione Sanjuro autunno-inverno

Dopo l'oramai consueta pausa estivo-primo autunnale, Sanjuro torna: video, audio, scritti, foto, caldarroste, vin brulé, panettone e spumante - questo, e molto altro ancora, nei prossimi mesi su Sanjuro.
Intanto eccovi il teaser trailer del videocorso di letteratura che vi proporremo a breve: più di 50 videolezioni per capire, infine, di cosa stiamo parlando quando parliamo di parole messe in fila per cambiare il mondo (o diventare ricchi).

lunedì 11 luglio 2011

Il Vento del Nord - Contromisure

di Lopizia Starna

Stavo nella lana avvolta, quando, dalle scale, scese il gatto di pelo. E quando dico di pelo, intendo veramente DI PELO.
Mi volli informare e chiesi : "Ma quel tuo gatto, è sempre stato così pieno di pelo?"
"No," rispose "È stagionale."
"Ah." raccolsi la spiegazione e, intensa, rimuginai sulla stagionalità del pelo. E questo ragionare mi portò lontano.
Ci si deve premunire, agli eventi, intendo. Quando accade qualcosa o si pensa che stia accadendo devono prendersi le adeguate contromisure. Mi parse allora di non averle prese, le contromisure. Ero impreparata. Cosa che non mi lasciò sgomenta, ma un po’ triste.
Uscii, lasciando gatto di pelo e padrone in salotto, davanti ad un tazza di tè al ginseng. Decisi che qualsiasi azione sarebbe stata meglio di nessuna azione.
Mi tolsi le vesti e abbandonai la calda lana, nuda ballai in giardino, nel retro, dietro la siepe. Pochi gli sguardi (una lucertola, un paio di scarafaggi, quattordici formiche nere e basta. Tutti numeri pari, ma non credo fosse un segno). Fu un atto d’amore per l’azione a venire, per tutte quelle cose che giacevano in me pregne di contenuti ma senza realizzazione.
Poi scrissi righe infuocate al quotidiano cittadino, postai alcuni link su facebook e mi sentii degna. Andai a comprare un paio di scarpe nuove e quattro libri di saggistica sulle condizioni dei contadini in Cina, degli operai in Cina, delle donne senza figlie in Cina e uno sul rapporto tra Cina e India. Una volta a casa guardai tutti i telegiornali di fascia serale a pezzi alternati in preda allo zapping esoterico, eccetto quello di rai uno e rete quattro. Mi sentii nuovamente degna. "Ecco," mi dissi, "lo sento anch’io. È il vento del nord. Partecipo al cambiamento. È come se mi stessi riempiendo di pelo, ecco le contromisure! L’azione! I partigiani… la rivoluzione!!!"
Presi l’agenda e segnai su martedì mattina, ore 9.00: "Prendere appuntamento per una ceretta, gamba intera e inguine." Con tutto questo parlare di pelo mi accorsi che non si trattava solo di una metafora.

n.d.a. la collocazione temporale è fittizia per non dar adito a speculazioni di genere politico

martedì 5 luglio 2011

Il Vento del Nord - La velocità dell'aria

di Dante Cruciani

Lo scravascio ha mitigato l’afa e c’è un’arietta... un vento alla finestra che mi dice tra i capelli Vai a letto, sono le due; ma io mi sono incaponito sul computer, come al solito, in quelle inutili faccende di manutenzione del sistema che ti pigliano sempre quando il giorno dopo hai una lunga giornata di lavoro. La batteria si surriscalda e, se la nuca è fresca - dò le spalle alla finestra - la fronte è tutta sgocciolante (Di notte, mentre dormi, i portatili si svegliano e ti rubano il respiro dalla porta usb, come i gatti in certe storie dell’orrore).

C’è una donna che urla - dove? - e piange. Ascolto un po’ i singhiozzi, sicuro che risalgano la strada. Non macchine, non camion della spazzatura con stantuffi, ma gemiti, lo strazio di qualcosa che fa male. Mi affaccio alla finestra e il suono si attutisce. Rientro e lo risento. Appoggio i palmi, spingo la zanzariera - finché un reticolo stretto mi appare sulle mani, rosso - per vedere se magari, forse, c’è qualcuno sotto, a perpendicolo, lungo la parete. Niente. Aspetto. Al piano di sopra, tossisce uno dei bambini.

Dormono. Sono le dieci di sera. Siamo soli in casa; mia sorella - loro madre - è a cena fuori. Il salotto è buio, le nubi impediscono il chiarore delle sere estive; il lucore dello schermo, son sicuro che mi rende il viso di un color di malattia - malattia tropicale, di quelle che affievoliscono e delirano - quando suona il campanello, un suono secco. Se mi irrigidisco, so che passerà. Suona ancora. Corro al citofono, ma è rotto e funziona nel verso di chi è fuori: chi è, dico, chi è. All’orecchio un microfono muto. Spremo i tasti per capire se riesco ad azionarlo, ma ho il dubbio di aver, invece, aperto il portone. È una vecchia casa di ringhiera, col terrazzo sul cortile interno. Sento ridere alla porta, una donna. Dalle liste degli scuri a veneziana, accanto al citofono, intravedo le scarpe marroni di un uomo che corre. L’ascensore vibra.

Giù in strada si rompe una bottiglia; in lontananza un lampo. Mentre la ventola smanetta, giro per la casa con un bicchiere in mano in cerca della parete giusta. Ne tento un paio senza risultati. Allora il pavimento. Apoggio l'orecchio al fondo, ma i rumori che sento sono gli stessi di quando immergo nella vasca da bagno: tonfi, colpi gommosi, nessun pianto. Eppure potrebbe essere una vicina. Il marito la picchia? Oppure ho fatto entrare i ladri, con un goffo colpo di citofono? Forse era fuori a cena, ed è tornata a casa trovandola distrutta. Tutte le cose sparite. I cassetti rovesciati, lei in mezzo alla stanza, con le lenzuola di lino in mano, strappate, in ginocchio; i rubinetti aperti, anche gli avanzi nel frigo, finiti; la serratura della porta scassinata, non si chiude più, c'è tutta una corrente d'aria... Sul pavimento le impronte di una scarpa da uomo, marrone.

Qualcuno la aiuterà, mi dico, con l’orecchio sul bicchiere; arriverà qualcuno...

martedì 28 giugno 2011

Radiazione - Radiazione

di Lopizia Starna

Io radio
Tu radi
Egli radia
Noi radiamo
Voi radiate
Essi radiano. Soprattutto. Ed essi, questi radianti o radiatori, a detrimento di un numero non risibile di verità, detengono quantità di potere smisurato. Ed è un fatto.
Un altro fatto è che oggi non avevo un euro da dare a quello che me lo domandava per una telefonata.
Intanto, chi è che telefona ancora con le monete? E poi, è la seconda volta che me lo chiede, nel giro di due giorni, nella stessa zona. La prima volta sono venuta incontro alla sua richiesta, perché mi sembrava bizzarra a sufficienza da corrispondere ad una necessità vera e grave. Oggi. No.
Quindi: KAZOOOM. Lo radio.
Potessi ricorrere alle radiazioni sommarie ogni qualvolta ne sentissi la necessità, le mie giornate trascorrerebbero man mano più pacate e prive di quella patina di livore che le contraddistingue. Sarei più sola. Ma, bene. Nella quantità non c’è mai un’indiscussa qualità. Quindi datemi un bonus radiazione al mese e rendete me, “Donna Felice”.
Invece, no. Urge una democratizzazione della tecnologia. Odio gli spargimenti di sangue, trovo quindi che la perfetta eliminazione possa essere attuata solo attraverso armi più sofisticate. Datemele, queste armi, affinché io possa liberarmi dai fastidi quotidiani. Grazie.
E se questa indiscriminata distribuzione portasse ad uno sterminio più o meno importante? E va bene. Fa lo stesso. Preferibile alle decisioni altrui, che per complicate ragioni finanziarie, politiche , macroeconomiche e multifattoriali generiche portano all’eliminazione lenta e parziale di quelli che non hanno alcun potere. Oppure alla radiazione istantanea. Sempre degli stessi. Quelli che non hanno alcun potere.
A meno che la comparsa di più pollici opponibili, gambe ritorte, tremori, convulsioni, atassia e morte nello spazio di alcune ore o di pochi giorni, nausea intrattabile, vomito e diarrea, batteriemia conseguente alla necrosi intestinale, anoressia, apatia, vomito (di nuovo), amenorrea, diminuzione della libido nelle donne, diminuita fertilità, anemia, leucopenia, trombocitopenia e cataratte in entrambi i sessi , osteosarcoma, neoplasie, accorciamento aspecifico della vita, mutazioni, aumento del numero di difetti genetici nelle generazioni successive, siano da considerarsi preferibili se perpetrate da altri, gli “essi” radianti. Io ho deciso che RADIO. Non ESSI. Nel caso. Se proprio ce ne fosse il bisogno. Lo faccio io. Per mio diletto, non mentirò sulle proprietà terapeutiche dell’energia nucleare, sull’affidabilità delle centrali nucleari, sull’analisi costi-benefici. Non mentirò su nulla. Datemi una manciata di scorie radioattive, ve le consegnerò a domicilio, dentro ermetiche buste di carta velina. Votate per me. Sarà bellissimo.
E durerà pochissimo.

mercoledì 1 giugno 2011

Radiazione - Contaminazione

di Als


sogno una forza distruttiva che mi faccia scomparire tutto ciò che non mi piace. E un’altra invece che riesca a diffondere un’energia che riempia le menti. Sogno una radiazione così potente che al mattino non ci si riconosca più, un’aria come quella che si sente prima che nevichi. O solo un’ondata di sterco, che se non altro porta bene.

domani mattina sarebbe bello non doversi più depilare e essere comunque attraenti, sarebbe bello che nessuno fosse incazzato, sarebbe bello che nessuno volesse trascinarti nella sua melma, un andamento di questo tipo potrebbe avere un effetto positivo su di me e uno immediatamente successivo a domino dalla mia persona alle altre, un irradiamento portentoso.

l’esistenza scorre e noi ci squagliamo come una pallina di gelato scivolata dal cono di un bambino sbadato. Caduti a terra, nasciamo e iniziamo a scioglierci, a espanderci, a irraggiarci, e veniamo a contatto con nuove cose, milioni di batteri e fermenti. Di questi ultimi vale la pena ricordare: il comunissimo Infantis, il rarissimo Longum, il più snob Thermophilus, l’etnico Bulgaricus e il misogeno Acidophilusminimo. Inizieremo infine a seccarci e a diventare appiccicaticci, per sparire poi del tutto.

quando penso alle persone che si sottopongono a operazioni chirurgiche a fini estetici penso che o non abbiano mai conosciuto un chirurgo plastico nel privato o che nella loro vita siano state sicuramente contaminate da una qualche radiazione che abbia completamente divelto loro il senno.