venerdì 28 gennaio 2011

Atti Impuri 2

di Gualtiero Bertoldi, Il Vostro, Dante Cruciani


Ci è arrivato, già qualche tempo fa, il secondo numero di Atti Impuri, una rivista curata dagli Sparajurij. Queste sono le nostre considerazioni in merito.

Annotazioni generali
La rivista, come oggetto, si presenta bene al tatto e alla vista: buon formato, molto maneggevole, di ottima trasportabilità. Vale la pena sottolineare anche il lavoro grafico e d’impaginazione, seppure non del tutto perfetto: a parte qualche errore vero e proprio – come un articolo determinativo peregrino a pagina 39 e dei sospetti spazi bianchi a pagina 31 - in redazione qualcuno ha storto un po’ il naso per come si è giocato con i margini laterali del testo (soprattutto alle pagine 26 e 27), anche se è stato zittito in malo modo dagli altri che invece hanno apprezzato l’interazione fra il testo ai margini e il corpo centrale. Buono pure l’impianto dell’opera, anche se una cosa che stride un po’ è la mancanza di due parole a riguardo del titolo scelto per la sezione contenente i racconti italiani, ovvero quel False Testimonianze che si viene a scoprire non nell’introduzione degli Sparajurij, come ci si potrebbe aspettare, ma solo leggendo il margine superiore della sezione apposita (poi magari ne avranno parlato sul primo numero, che non abbiamo letto, ma riprendere e ripetere anche brevemente il tutto non sarebbe stato male).

I racconti (a cura di Gualtiero Bertoldi)
Una specie di anestesia, F. Ganzenua: non male – cripto-reticente al punto giusto, rimescola alcune immagini e un senso di dolente zombificazione dell’altro da risultare quasi divertente. La cosa migliore però sta nella biografia della Ganzenua, la quale, viene scritto, “è nata a Verona nel 1975, a 5 anni.” Mi inchino di fronte a tanto non sequitur.

La forma della grazia, G. Vasta: molto levigato, limato, aggraziato. Forse troppo, tanto da sembrare alla fine un bel compitino, o poco di più - tutto sviluppato com’è attorno a un’unica idea (pur se sufficientemente stramba da tener su la baracca quanto basta).

Una talpa scoreggiò nell’erba dopo avere ingoiato una manciata di grano, M. Rossari: a forza di trovate linguistiche, idee meta-letterarie e incrociamenti col Kafka, un racconto troppo lungo che dà l’idea di non centrare bene il bersaglio, preoccupato com’è del suo stesso pastiche. Più che kafkiano, un racconto che ha del ligabuiano surrealista (sempre che un accostamento del genere possa generare un qualche significato).

I diari di Emma, F. Sgaggio: macchinoso, appesantito da periodoni non felicissimi. E quando sono giunto alla fatidica riga “Emma sono io”, sono stato indeciso se seguire l’Alfieri, e scaraventare la rivista contro il muro (ma poi dovevo farla girare in redazione, quindi mi son trattenuto), o inforcare un paio di occhiali da sole e urlare “YYYYEEEEEEEAAAAAAAAAHHH!” alla Horatio Caine. Ho perso mezz’ora a cercare gli occhiali da sole.

Tutta luce per noi, A. Scarabelli: parte malissimo, con un’ostentazione di fine ingegno da far venire l’orticaria, ma poi fortunatamente recupera e si lascia leggere in scioltezza (fermo restando la deleteria mania di provare a ficcare, ogni tanto, la bella frase ad effetto da 100 punti).

La signorina numero 22, A. Sartori: inquietante e ben congegnato, spazia in maniera convicente sui temi del desiderio e della modificazione corporea. Il valore aggiunto è dato senz’altro dal fatto che l’autrice ha al suo attivo ben tre libri di narrativa per ragazzi. In sintesi: BEWARE OF CHILDREN’S WRITERS (che poi vi escono con raccontoni che manco il guro giapponese).

Il siluro coi baffi, N. Sadur; Appendice, A. Petrova; Esperienza nell’esternare il lutto, M. Višneveckaja; Performance al cospetto del signore, N. Bajtov: raccolgo insieme tutti i racconti tradotti dal russo, che occupano uno spazio a parte nella rivista sotto la sezione Il prossimo tuo. Il livello è buono; i migliori due sono quello della Višneveckaja e quello di Bajtov: il primo molto ordinato e dettagliato nel rendere conto di un’ossessione disvelatrice delle ritualità; il secondo dinamico e beffardo al punto giusto.

Killing an arab, E. Aloia: sembra quasi espunto da un’opera più estesa, tanto che alla fine lascia con la voglia di leggerne ancora. Il che è sia un bene che un, piccolo, male.

La perla delle dolomiti, A. G. Bortoluzzi: particolarmente accurato e felice nel dipingere un tipo veneto molto diffuso in questa nostra grande regione di móna e lavoratori: il padroncino avvinazzato. E tanto basta.

Consolazione, G. Fazzi: tranche de vie riguardante gli spostati del lotto da bar di provincia, forse un po’ di maniera, ma che comunque riesce a portare a casa la giornata con sommessa dignità.

Annegare, F. Muzzopappa: un rantolone prevedibile e tirato troppo per le lunghe. Un paio di pagine in meno e sarebbe stato più che passabile.

Fino a sei mesi compiuti, A. Carnaroli: didascalico nella sua supposta opacità, non riesce a dare vita a una situazione narrativa che oramai è assurta a cliché di certo neo-neo-post-neo-realismo italiano (ovvero la donna figlia-moglie-madre in preda a un esaurimento esacerbato e vittimista).

Il controllo delle feci, S. Raspini: grande avanguardia linguistica, vecchia di cinquant’anni. Si tratta dell’unico racconto che mi è risultato insopportabile, e per tremenda coazione a ripetere di vezzi ludo-linguistici che si sperava esauriti, e per generale inutilità dell’insieme.


L’epistolario di Rabelais (a cura de Il Vostro)
Caro François,
in risposta alla Vostra.
Oppur fatemi Voi, l'onore d'una visita qui, nella mia modestissima et umile terra: e l'onore diverrà presto ardire, da Vostra parte, nel brevissimo tempo ch'io abbia a far imbandir tavola da' miei maggiordomi: acché sicuramente non mancheranno qui nemmeno, delizie a soddisfarvi: e avremo vini del Berry e di Normandia, e de' Rolloni, e di Linguadoca, Delfinato e Champagne, e della Rochelle, e d'Aunis, e di Santonge, e del Poitou e altresì d'Aquitania, di Borgogna, di Piccardia, dell'Angiò, di Provenza, e delle terre d'Angouleme, e del Borbonese, e della Marche, e birre di Bretagna; e ancora avremo vini sia rossi che bianchi dal Limosino, dalla Turenna, dal Foix e dal Maine, e dall'Alvernia - con i migliori auguri dell'arcivescovado della nera cattedrale di Clermont-Ferrand - e poi vini del Bearn e dell'Alsazia, e di Arras, e di Perpignan, e di Lille e di Besançon e di Fiandra e di Nancy e di Nizza e di Montbéliard; dalla Corsica no, ché recenti litigi co' litigiosi isolani han chiuso, diciamo così, i rubinetti.
Servo Vostro, A. H.

È sempre indeciso, il Vostro, a riguardo del "minore" de' grandi Autori: davvero ne vale sempre la pena?
No, secondo lui.
Però l'introduzione era pregevole.


Le poesie (a cura di Dante Cruciani)
Che brutta fine la poesia, ghettizzata perché a nessuno interessa, e col sospetto che stia lì non tanto per gusto ma perché si deve. Se non sapessi che i curatori sono gli Sparajurij – collettivo poetico oltre che narrativo e culturale – direi che quasi quasi queste liriche, così in coda al volume, siano una sorta di paravento: guardate, ci occupiamo anche di poesia, voi leggerete anche poesia, la nostra è una rivista militante, eh. Ed è vero che questi testi occupano circa un 10% del corpo totale della rivista, ma è anche vero che sono gli unici testi che hanno bisogno di un'introduzione ad hoc che ci dica quanto interessanti sono. E vabbe'. Che poi, sul serio sono interessanti, perché Bajec ha una prosodia misurata e tesa, un senso del verso che ha una naturalezza non esibita, e immagini originali. Forse c'è un'eccessiva ricerca della frase ad effetto, del senso finale, o della chiusa sentenziosa ("Forse / l'uomo abbandonerà la vittoria e la sconfitta / per ascoltare e infine perdersi nell'essere" Al cuore esiliato; "Non ti ho perdonato, è vero, ma accadrà per disgrazia" Sentendo i vicini gridare) o di una quotidianità esibita che però non si stacca troppo dall'occasione cui si riferisce (Ode alla mia lavatrice, Treno d'estate). L'impressione è che metafora e realtà non riescano sempre a mischiarsi del tutto, ma quando lo fanno il risultato sia quello di una potente "serena disperazione".


In conclusione
Compratelo. Ci sono un paio di cose molto belle, una o due cose brutte, e il resto costituisce una medietas più che decente con guizzi pregevoli qua e là.

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